Cambia il disciplinare della "Vera Pizza Napoletana", ma non abbastanza

25 luglio 2019
pizza napoletana - pizzeria fuori tempo
Finalmente, a quasi 40 anni dalla prima stesura, è stato aggiornato il disciplinare della “Verace Pizza Napoletana”, cioé quell’insieme di regole che definiscono le caratteristiche di preparazione e riconoscimento dell’unica vera pizza napoletana ammissibile nel mondo. 
Un aggiornamento che tocca principalmente le farine (con l’inclusione del tipo 0 e in percentuale massima del 20% della farina tipo 1). Questo secondo noi è un passo avanti, anche perché la farina tipo 00 raffinata industrialmente è un’invenzione recente, degli anni ’70, e non esisteva di certo quando è stata inventata la pizza.

Però dobbiamo constatare l'impasto del Fuori Tempo ancora non rientra nel disciplinare, dato che è preparato esclusivamente con farina di tipo 1.

Altre aperture sono state fatte sul lievito, ad esempio l’introduzione del lievito madre naturale, e sui processi di lievitazione e maturazione dell’impasto, ora anche fino a 24 ore (però al momento però viene bocciata la biga). Inoltre ci sono precisazioni sui prodotti da utilizzare per preparare una verace pizza napoletana eccellente, con preferenza per quelli campani. Infine, è stata introdotta una deroga per l’utilizzo del forno a gas o elettrico, purché siano forni approvati dall’AVPN e solo a fronte di una documentazione che attesti l’impossibilità di utilizzare il forno a legna.

In generale ci pare un primo passo - se pure molto timido e tardivo - per adeguarsi al cambiamento in atto nel mondo della pizza, che è al momento un arcipelago vivace e stimolante, con percorsi di ricerca e innovazione portati avanti da centinaia di pizzaioli in Italia e nel mondo, che - come noi - molto raramente rispettano il discliplinare della “Verace Pizza Napoletana”.
Riportiamo alcuni passi di un interessante articolo di Alessandro Trezzi su Dissapore (leggi l'articolo originale), con cui concordiamo in pieno:
Leggete il Disciplinare e comprenderete perché ad attuarlo sono ben pochi pizzaioli, più o meno quante le dita delle mie mani. Piuttosto controproducente per la diffusione della pizza napoletana “autentica” nel mondo, non credete? (…)

Partiamo da un rapido presupposto: l’AVPN si è sempre preposta una battaglia di per sè giusta (la certificazione dell’autenticità della vera pizza napoletana nel mondo) utilizzando però dei metodi completamente sbagliati. A cominciare dalla nomina in STG (Specialità Tradizionale Garantita, di fatto legata a determinate specifiche di produzione) e dall’esclusività degli ingredienti campani.

Ora voi ditemi come dovrebbe fare un giapponese o un thailandese a utilizzare una mozzarella FRESCA esclusivamente campana se ad arrivare impiega una settimana. Se la tutela è globale, ai fini di evitare prodotti copiati, plagi e quant’altro, la prerogativa non dovrebbe essere quella di assicurare la fattibilità della pizza stessa in ogni parte del mondo? (…)

Importante è anche l’assolutismo specificato nel paragrafo dedicato alla ricetta, che ha lo scopo di fissare un grosso paletto, nel tentativo forse di demonizzare alcuni prodotti in voga al momento. Nelle “regole essenziali da rispettare” infatti si parla di impasto diretto, di partire dall’acqua per la preparazione e dell’assenza di grassi o zuccheri nell’impasto. Bocciata, insomma, la blasonata biga.

(…) impastare partendo dall’acqua è un errore tecnico ENORME. Anzitutto, è la farina che assorbe l’acqua e non il contrario, e il glutine stesso si forma mano a mano che la vostra polvere bianca comincia a idratarsi e a trasformarsi, in maniera decisamente più rapida ed efficace. Partire da una pastella bagnata vi allungherà solo i tempi, rendendovi per altro impossibile il lavoro in caso di idratazioni elevate. E oltre al danno, la beffa: in un mondo (quello della panificazione) dove qualsiasi preparazione viene standardizzata tenendo come riferimento la farina, la pizza napoletana continua a rimanere l’unica ancorata a un insulso retaggio storico; in questo modo il confronto con altri prodotti è complicato, e non vi consente di avere quella visione di insieme necessaria per crescere professionalmente. Oggi conoscere più processi è fondamentale per una formazione più completa, mettetevelo bene in testa.

Un aggiornamento storico, un clamoroso ritardo

A prescindere da errori e imprecisioni, stiamo parlando di un cambiamento arrivato a valle di una trasformazione già da tempo in atto nel mondo della pizza napoletana. Sono anni che si parla di maturazione, di fermentazione, dell’importanza dei processi, dello studio degli ingredienti, dell’utilizzo o meno della pasta madre, della preferenza per lievito fresco o secco, delle varie tipologie di forno e dei prefermenti.

Sono anni che la VERA pizza napoletana ha preso il largo, distanziandosi da questi concetti astrusi e ridicoli.

Sono anni che l’AVPN viene presa come esempio di testardaggine e patriottismo assurdo italiano; in una delle puntate di Ugly Delicious, lo show di Netflix di David Chang, si parla proprio del “razzismo” gastronomico degli italiani nei confronti del resto delle preparazioni, di cosa è “pizza” e cosa no, e dell’impossibilità per chiunque abbia un’attività nel resto del mondo di fare uso di ingredienti napoletani in quanto non arriverebbero freschi. Le parole stesse di Antonio Pace, riprese nella puntata, rimarcano un concetto assurdo e che purtroppo passa per totalitario, immagine di un paese dalla mentalità chiusa e ristretta: l’unica vera pizza è quella napoletana, l’unica vera napoletana è quella di Napoli, il resto non esiste.

Come già affermato, un intento inizialmente nobile come quello del disciplinare AVPN ha come unico effetto quello di risultare ridicolo e inapplicabile, o non si spiegherebbero le sole 793 pizzerie iscritte su circa 28.000 in tutta Italia (dato di Febbraio 2018). E non sono rari i casi di celebri professionisti usciti dall’AVPN, anche tra i napoletani.

Il vice-presidente Massimo Di Porzio, durante le olimpiadi, ha parlato di un processo non facile, che dovendo trattare un’antica tradizione ha richiesto un lavoro lungo, durato 4 anni con test e ricerche.

Un magro tentativo di giustificare l’imperdonabile e assurdo ritardo di tali aggiornamenti. Tantissimo lavoro per cosa, per scrivere una pagina in più?

Non c’è stato nemmeno il “coraggio” di ammettere l’utilizzo delle celle a temperatura controllata per le fasi di lievitazione, una pratica comune DA DECENNI. Se nel vostro laboratorio ci sono 35 gradi che fate, accendete un cero in chiesa?

Ma soprattutto, l’imposizione sul metodo diretto pare l’ennesima, disperata iniziativa di denunciare l’utilizzo dei prefermenti, una pratica ormai parecchio in voga tra i professionisti.

Davvero siete convinti che basta una riga su un pezzo di carta per fermarne l’evoluzione? Davvero siete convinti che tale dichiarazione avrà qualche effetto sull’economia del mondo pizza?

A parer mio, l’aggiornamento del Disciplinare Internazionale STG ha un solo, evidente risvolto: la disperata mossa di un’associazione che si è uccisa con le sue stesse mani, un tentativo inutile di mettere becco su un mondo già troppo avanzato per una mente chiusa e del tutto anacronistica.

Del resto stiamo parlando di gente che nel 2019 è ancora convinta che la pizza sia più buona a Napoli perché l’acqua è diversa.
Articolo di Alessandro Trezzi
(pubblicato su Dissapore)